martedì 27 gennaio 2009
da "il Messaggero"
Si possono quantificare le attese caricate su Barack Obama? Ci ha pensato il St. Petersburg Times, il più importante quotidiano americano nella zona di Tampa (Florida), con l'«Obamometro», un osservatorio puntato sulle promesse fatte dal nuovo inquilino della Casa Bianca durante la campagna elettorale per le presidenziali Usa.
Il giornale ha raccolto le circa 500 promesse fatte da Barack nel corso della campagna e le ha classificate in un grafico che, in tempo reale, aggiorna gli impegni presi dal presidente come "Promesse mantenute", "Promesse in parte realizzate" e "Promesse disattese".
Appena sei giorni dopo il suo insediamento alla White House, il presidente Usa ha mantenuto - rileva l'Obamometro - già 5 promesse su un totale di 488.
1) Dare ai militari un nuovo obiettivo: chiudere al più presto il conflitto in Iraq. Obama ha convocato, fin dal primo giorno del proprio insediamento, i vertici militari per organizzare il ritiro delle truppe Usa dalla regione.
2) Nominare almeno un Repubblicano nel suo staff. Robert Gates è rimasto Segretario alla Difesa: lo era anche sotto Bush. Gates in realtà si è autodefinito "apolitico" ma ha ammesso di aver servito spesso le amministrazioni repubblicane.
3) Abolire le nomine "politiche" nell'amministrazione pubblica. L' "Executive Order on Ethics Commitments by Executive Branch Personnel", firmato da Obama il 21 gennaio, obbliga i dirigenti statali a firmare una dichiarazione in cui giurano di non assumere personale seguendo criteri di affiliazione politica.
4) Rendere più trasparenti gli atti del Presidente degli Stati Uniti. Barack ha riportato - com'era originariamente - a 30 giorni il tempo concesso agli ex presidenti di "rivedere" gli atti che lo riguardano prima che questi finiscano negli Archivi nazionali pubblici. Bush aveva esteso questo tempo ad libitum, consentendo agli ex presidenti - a cominciare da sé stesso - di "rivedere" a proprio piacimento la storia e l'immagine da lasciare ai posteri.
5) Vietare ai lobbisti di offrire regali ai dipendenti pubblici. Con l' "Executive Order on Ethics Commitments by Executive Branch Personnel", firmato da barack il 21 gennaio, il presidente ha mantenuto la sua promessa di limitare lo strapotere dei lobbisti sulle attività del Congresso e dell'esecutivo.
L'Obamometro si impegna a seguire, di qui alla fine del mandato, tutte le iniziative politiche del neo presidente e di riportarne l'esito nell'osservatorio online.
Il giornale ha raccolto le circa 500 promesse fatte da Barack nel corso della campagna e le ha classificate in un grafico che, in tempo reale, aggiorna gli impegni presi dal presidente come "Promesse mantenute", "Promesse in parte realizzate" e "Promesse disattese".
Appena sei giorni dopo il suo insediamento alla White House, il presidente Usa ha mantenuto - rileva l'Obamometro - già 5 promesse su un totale di 488.
1) Dare ai militari un nuovo obiettivo: chiudere al più presto il conflitto in Iraq. Obama ha convocato, fin dal primo giorno del proprio insediamento, i vertici militari per organizzare il ritiro delle truppe Usa dalla regione.
2) Nominare almeno un Repubblicano nel suo staff. Robert Gates è rimasto Segretario alla Difesa: lo era anche sotto Bush. Gates in realtà si è autodefinito "apolitico" ma ha ammesso di aver servito spesso le amministrazioni repubblicane.
3) Abolire le nomine "politiche" nell'amministrazione pubblica. L' "Executive Order on Ethics Commitments by Executive Branch Personnel", firmato da Obama il 21 gennaio, obbliga i dirigenti statali a firmare una dichiarazione in cui giurano di non assumere personale seguendo criteri di affiliazione politica.
4) Rendere più trasparenti gli atti del Presidente degli Stati Uniti. Barack ha riportato - com'era originariamente - a 30 giorni il tempo concesso agli ex presidenti di "rivedere" gli atti che lo riguardano prima che questi finiscano negli Archivi nazionali pubblici. Bush aveva esteso questo tempo ad libitum, consentendo agli ex presidenti - a cominciare da sé stesso - di "rivedere" a proprio piacimento la storia e l'immagine da lasciare ai posteri.
5) Vietare ai lobbisti di offrire regali ai dipendenti pubblici. Con l' "Executive Order on Ethics Commitments by Executive Branch Personnel", firmato da barack il 21 gennaio, il presidente ha mantenuto la sua promessa di limitare lo strapotere dei lobbisti sulle attività del Congresso e dell'esecutivo.
L'Obamometro si impegna a seguire, di qui alla fine del mandato, tutte le iniziative politiche del neo presidente e di riportarne l'esito nell'osservatorio online.
domenica 11 gennaio 2009
DIECI ANNI, U8N GIORNO, UN ISTANTE. FABRIZIO DE ANDRE' sempre con noi.
Fabrizio De Andrè aveva già trovato parole e musica per descrivere il dolore immenso che proviamo alla vista dell’eccidio di Gaza. I suoi versi in lingua genovese (che traduciamo anche in italiano) arrivano da "Sidun", un brano scritto assieme a Mauro Pagani, registrato nel suo capolavoro “Creuza de mä”.
Cosa disse De André Su Sidun, ossia Sidone?
«Sidone è la città libanese che ci ha regalato oltre all'uso delle lettere dell'alfabeto anche l'invenzione del vetro. Me la sono immaginata, dopo l'attacco subito dalle truppe del generale Sharon del 1982, come un uomo arabo di mezz'età, sporco, disperato, sicuramente povero, che tiene in braccio il proprio figlio macinato dai cingoli di un carro armato. (...) La piccola morte a cui accenno nel finale di questo canto, non va semplicisticamente confusa con la morte di un bambino piccolo. Bensì va metaforicamente intesa come la fine civile e culturale di un piccolo paese: il Libano, la Fenicia, che nella sua discrezione è stata forse la più grande nutrice della civiltà mediterranea.»
La furia bellica degli eredi di Sharon ha riportato oggi il pendolo dell’annichilimento verso l’altro azimut soggetto alla « semensa velenusa d'ä depurtaziún». Ma, ancora, lo sterminio dei bambini simboleggia la fine civile e culturale di una comunità umana. Riascolto “Sidun” e altri suoni contaminati di “Creuza de mä”. In questo album che resisterà ancora al tempo, fra le tante letture possibili, voglio vedere un segno di speranza del nostro tormentato sanguemisto mediterraneo.
Cosa disse De André Su Sidun, ossia Sidone?
«Sidone è la città libanese che ci ha regalato oltre all'uso delle lettere dell'alfabeto anche l'invenzione del vetro. Me la sono immaginata, dopo l'attacco subito dalle truppe del generale Sharon del 1982, come un uomo arabo di mezz'età, sporco, disperato, sicuramente povero, che tiene in braccio il proprio figlio macinato dai cingoli di un carro armato. (...) La piccola morte a cui accenno nel finale di questo canto, non va semplicisticamente confusa con la morte di un bambino piccolo. Bensì va metaforicamente intesa come la fine civile e culturale di un piccolo paese: il Libano, la Fenicia, che nella sua discrezione è stata forse la più grande nutrice della civiltà mediterranea.»
La furia bellica degli eredi di Sharon ha riportato oggi il pendolo dell’annichilimento verso l’altro azimut soggetto alla « semensa velenusa d'ä depurtaziún». Ma, ancora, lo sterminio dei bambini simboleggia la fine civile e culturale di una comunità umana. Riascolto “Sidun” e altri suoni contaminati di “Creuza de mä”. In questo album che resisterà ancora al tempo, fra le tante letture possibili, voglio vedere un segno di speranza del nostro tormentato sanguemisto mediterraneo.
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