

Nelle immagini siamo nella zona DOC del Brunello di Montalcino.


Roberto Agostini fotografo.
vi invito a leggere, sottoscrivere e diffondere la seguente lettera aperta elaborata dal movimento "Centoautori"
rivolta al mondo del cinema, della TV, del teatro, e più in generale al mondo della cultura e dell'informazione.
Per aderire e' sufficiente inviare una email all'indirizzo:
Ai deputati e ai senatori della prossima legislatura, ai ministri del futuro governo
chi vi scrive rappresenta il mondo del cinema, della televisione, dell’audiovisivo. Cio' che raccontiamo si forma a poco a poco, mettendo insieme scrittori, registi, attori, scenografi, musicisti, operatori, maestranze: un insieme di creatività e competenze, un grappolo di saperi - studiati, appresi, tramandati.
Oggi, in un momento in cui si parla di paese ‘bloccato’, vorremmo portare la vostra attenzione su alcune semplici riflessioni. E avanzare delle proposte. Non lo facciamo con timidezza, non mormoriamo nei corridoi, non chiediamo la vostra amicizia per vederle realizzate - come forse un tempo avveniva.
Chiediamo queste cose a voce alta, pubblicamente.
In primo luogo la difesa dell’universo dei nostri diritti, che sono poi la nostra identita'. In fondo, l’unica cosa davvero nostra. I nostri diritti d’autore - inalienabili, incedibili, intrattabili - sono il frutto delle nostre intelligenze e del nostro cuore, vengono dal nostro vivere nella comunità: e' da qui, da questo sentire e narrare degli scrittori, dei registi, degli artisti, che nasce e via via si rafforza l’immaginario del paese. Chi vorrebbe rinunciare a questo? Chi vorrebbe avere, al posto di un romanziere, un burocrate? Chi puo' mai pensare che un portaborse messo li' da un partito possa essere meglio di un poeta?
E’ per questo che vi proponiamo di rovesciare il punto di vista consueto: non stiamo chiedendo facilitazioni, favori, denaro. Chiediamo che l’avventura storica del nostro cinema e di tutto cio' che dal cinema muove - il racconto televisivo ad esempio - possa tornare a essere centrale. Vi chiediamo dunque di pensare all’Italia non solo come a una fabbrica da far funzionare meglio o una famiglia di cui far quadrare i bilanci, ma anche come a un ambiente da affrescare, una grande parete chiara, una palpebra bianca su cui scrivere le storie che racconteranno - a chi verra' dopo di noi - cio' che eravamo, cio' che siamo stati, cio' che abbiamo cercato di essere.
Ci sono parole che sembrano dimenticate e che invece vorremmo che tornassero ad avere senso e forza. Parole come etica, trasparenza, competenza, passione. Parole che, una volte rese reali, significano che in alcuni ruoli specifici non devono mai piu' andare persone che rispondano a patronati, ma persone capaci, oneste, felici di essere chiamate a quel ruolo, e ricche di volonta' di fare, preoccupate esclusivamente del bene della collettivita'.
Nel cinema e nella TV, questo significherebbe avere persone disposte ad ascoltare, a proporre e a disporre, secondo coscienza personale e non su sollecitazioni esterne.
Nel governo del paese, significherebbe avere un Ministro della Cultura immerso nel battito vivo del paesaggio intellettuale, capace di dialogare col mondo della creativita', dotato del linguaggio giusto.
Ci sono parole come ricerca, innovazione, sperimentazione, che sembrano diventate impronunciabili - parole che spaventano chi crede che un film debba essere pensato solo per un pubblico chiuso nel conformismo, sconcertato di fronte a qualunque racconto non elementare o nuovo. E invece non bisogna aver paura del nuovo. Perche' il nuovo è il ghiaccio che si spezza – e sotto, piano piano, viene fuori una ricchezza che si faceva fatica ad accettare e che in breve diventa poi linguaggio condiviso.
Pensiamo alla parola meno usata di questa campagna elettorale: cultura. Nessuno e' contro la cultura, nessuno ne prende le distanze, nessuno confessa di detestarla, nessuno ammette di considerarla un peso, una roba per intellettuali lamentosi. E’ una parola consumata, che non dice piu' nulla, e perfino noi abbiamo difficoltà a usarla, per l’uso mercantile e falso che se ne e' fatto.
E’ una colpa imperdonabile aver logorato questa parola cosi' importante, nella terra in cui la cultura e' invece cosi' vicina alle persone comuni: ci camminano dentro quando attraversano le strade, quando passano davanti alle nostre antiche chiese, quando guardano certi palazzi gentili, certe fontane armoniose, o quei lungofiumi che disegnano quinte di case in mirabili teatri all’aperto. Queste persone sono le stesse che provano una comunanza di sentimenti, pensiero e passione quando, al cinema o in TV, vedono quelle stesse strade, quelle stesse piazze, attraversate dal corpo e dalla voce dei nostri attori e delle nostre attrici. La nostra gente ama la cultura, anche se la chiama con tanti altri nomi. Ma la cultura va di nuovo messa al centro del campo di gioco, non va lasciata ai margini: bisogna far circolare le idee, far circolare i film, le musiche, i colori, i teatri, e tutto il resto che ci gira intorno.
Siamo una nazione ricca del nostro lavoro e della nostra cultura, ma proprio in questo settore, siamo dietro a molti, a troppi paesi. Abbiamo dunque bisogno di cambiare. Sembra difficile, ma non e' difficile. Sembra avere dei costi, e invece, tanto per cominciare, si potrebbe partire quasi a costo zero: insegnare il cinema nelle scuole; promuovere il lavoro dei nostri documentaristi sui luoghi di lavoro, nelle case, nelle campagne; avere delle vere regole di mercato; ruotare le nomine; far valere persone brave e competenti. Cose semplici, cose abituali in altri paesi. Servirebbe a noi, e a quelli che verranno…
Quelli che verranno, sono i ragazzi. I nostri - e vostri - figli. Sono quelli che nelle loro stanze, davanti ai loro schermi privati, scaricano film dalla rete, talvolta legalmente, ma piu' spesso illegalmente, arricchendo i provider che usano il nostro lavoro senza riconoscerlo, privandoci dei nostri diritti. Noi riteniamo che sia giusto che gli autori tutelino lo sfruttamento delle proprie opere, arginando la marea montante della pirateria, anche telematica. Ma pensiamo che sia anche giusto che i giovani possano avere accesso ai nostri film senza pagare un costo che li rende di fatto inaccessibili.
E’ qualcosa di cui dovremmo ragionare assieme.
Quando diciamo assieme, intendiamo dire che, rispetto a quanto accaduto finora, vorremmo mettere le nostre competenze al servizio della collettivita', proprio come sarete chiamati a fare voi una volta eletti.
Vi proponiamo di prenderci delle responsabilità dirette.
Se vorrete avere delle commissioni che ad esempio debbano decidere quali finanziamenti, a quali produttori, a quali registi, sulla base di quali garanzie - non cercate i nomi nella vostra rubrica privata, non chiamate i vostri amici, le vostre mogli, le vostre segretarie: chiamate noi. E non sottobanco, non come consulenti segreti. Ma, come in molti paesi europei, alla luce del sole. Per periodi di tempo stabiliti in cui non scriveremo, non gireremo i nostri film - ma assolveremo solo il compito che avremo accettato di svolgere.
Il cinema - quando una storia o un’immagine e' allo stesso tempo semplice e profonda - ha la forza immensa di dirci cio' che non sapevamo, di mostrarci cio' che non potevamo immaginare, nemmeno su noi stessi. Infatti il cinema, e tutto ciò che dal cinema discende, e' un’arte semplice. Ma semplice non vuol dire banale, semplice significa qualcosa che sta alla fine di un lungo lavoro. E’ per questo che, quando un film parla al pubblico e lo colpisce al cuore, si assiste a una specie di miracolo: lo spettatore, passivo per vecchia definizione, in realta' non e' passivo per niente: si anima, prende parte, si schiera, discute: che diavolo e' il monolite di Odissea nello spazio? E’ colpa di Mamma Roma se il figlio muore? Marcello, nella sua dolce vita, e' un tipo malinconico o e' uno stronzo? Ha ragione o no il professor Silvio Orlando a dire che I promessi sposi sono una palla?
La domanda che occorre porsi e' questa: di cosa ha bisogno il nostro paese per ritrovare se stesso, per specchiarsi senza paura della propria immagine, immobilizzata in una maschera? Puo', chi governa, limitarsi ad avere il semplice ruolo di arbitro nella corsa dei cittadini al benessere economico individuale? Oppure, puo' limitarsi a chiedere ai cittadini di riconoscersi come comunita' soltanto nel rispetto delle regole, delle compatibilita' economiche, o di una maggiore equita' fiscale?
C’e' bisogno di qualcosa di piu'. Dobbiamo decifrare il disagio, e raccontarlo, cercando nei nostri film, una specie di utopia concreta, un progetto di futuro possibile, a portata di mano, una rivendicazione orgogliosa, capace di vibrare in sintonia col paese reale: vedersi rappresentati, vedersi raccontati, aiuta a capirsi.
Perche' di questo c’e' bisogno: di tornare a vederci.
Perche' l’immagine che oggi ci rimanda gran parte della TV - la TV peggiore, schiacciata a rincorrere un consenso di puri numeri - non e' il paese vero. Dove stanno quelle donne cosi' finte, dove vivono quegli uomini cosi' stupidi, quei giovani cosi' vuoti? Chi incontra mai per strada o in un bar gente vestita in quel modo, atteggiata in quel modo, rincoglionita in quel modo?
Bisogna restituire alla TV - questo potenziale grande strumento di democrazia e uguaglianza - il suo ‘cchio: il che non significa deprimere l’ascolto, non significa non fare spettacolo, non fare intrattenimento, non fare fiction che appassioni il grande pubblico. Significa fare tutto quello che gia' si fa, ma pensando che chi guarda abbia voglia di vedersi come realmente e' - o come realmente sogna - e non come viene sbrigativamente rappresentato.
Abbiamo bisogno di buon cinema e di buona TV perche' abbiamo bisogno di un nuovo sguardo. Non solo per noi, ma per gli spettatori, perche' e' il pubblico ad avere bisogno di un racconto di se' più nuovo, piu' abitato dalla contemporaneita'.
Nello stesso modo, non siamo noi - gli autori, i cineasti - ad aver bisogno dello Stato, ma e' lo Stato che deve tornare a chiedersi se non abbia bisogno di noi: per sapere di nuovo chi siamo, dove siamo, come il paese puo' essere aiutato a ritrovarsi e a crescere.
Vi ricordiamo, per concludere, quanto il mondo del cinema e della TV e del teatro e della letteratura aveva scritto un anno fa, in occasione di una grande allegra manifestazione: “Crediamo che lo Stato abbia l’obbligo di assicurare ai propri cittadini il diritto di accedere alla piu' ampia varieta' possibile di opere - nazionali e internazionali, commerciali e di nicchia, di qualita' e di intrattenimento, di documentazione e di ricerca, restituendo al cinema e alla TV un ruolo di arricchimento culturale. Negli ultimi anni questo diritto si e' indebolito, riducendo la liberta' di scelta per autori e fruitori, semplificando i messaggi trasmessi alle giovani generazioni, impoverendo intellettualmente e umanamente tutta la collettivita'.”
E’ da qui che pensiamo si debba ricominciare. Sediamoci, parliamo.
PER INFORMAZIONI: GIULIA BERNARDINI; cell.:
Se eri un bambino negli anni 50, 60 e 70
Come hai fatto a sopravvivere ?
1.- Da bambini andavamo in auto che non avevano cinture di sicurezza né airbag...
2.- Viaggiare nella parte posteriore di un furgone aperto era una passeggiata speciale e ancora ne serbiamo il ricordo.
3.- Le nostre culle erano dipinte con colori vivacissimi, con vernici a base di piombo.
4.- Non avevamo chiusure di sicurezza per i bambini nelle confezioni dei medicinali, nei bagni, alle porte.
5.- Quando andavamo in bicicletta non portavamo il casco.
6.- Bevevamo l'acqua dal tubo del giardino, invece che dalla bottiglia dell'acqua minerale...
7.- Trascorrevamo ore ed ore costruendoci carretti a rotelle ed i fortunati che avevano strade in discesa si lanciavano e, a metà corsa, ricordavano di non avere freni. Dopo vari scontri contro i cespugli, imparammo a risolvere il problema. Si, noi ci scontravamo con cespugli, non con auto!
8.- Uscivamo a giocare con l'unico obbligo di rientrare prima del tramonto. Non avevamo cellulari... cosicché nessuno poteva rintracciarci. Impensabile.
9.- La scuola durava fino alla mezza, poi andavamo a casa per il pranzo con tutta la famiglia
(si, anche con il papà ).
10.- Ci tagliavamo, ci rompevamo un osso, perdevamo un dente , e nessuno faceva una denuncia per questi incidenti. La colpa non era di nessuno, se non di noi stessi.
11.- Mangiavamo biscotti , pane olio e sale, pane e burro, bevevamo bibite zuccherate e non avevamo mai problemi di soprappeso, perché stavamo sempre in giro a giocare...
12.- Condividevamo una bibita in quattro... bevendo dalla stessa bottiglia e nessuno moriva per questo.
13.- Non avevamo Playstation, Nintendo 64, X box, Videogiochi, televisione via cavo con 99 canali, videoregistratori, dolby surround, cellulari personali, computer, chatroom su Internet... Avevamo invece tanti AMICI.
14.- Uscivamo, montavamo in bicicletta o camminavamo fino a casa dell'amico , suonavamo il campanello o semplicemente entravamo senza bussare e lui era lì e uscivamo a giocare.
15.- Si! Lì fuori! Nel mondo crudele! Senza un guardiano! Come abbiamo fatto? Facevamo giochi con bastoni e palline da tennis , si formavano delle squadre per giocare una partita; non tutti venivano scelti per giocare e gli scartati dopo non andavano dallo psicologo per il trauma.
16.- Alcuni studenti non erano brillanti come altri e quando perdevano un anno lo ripetevano. Nessuno andava dallo psicologo, dallo psicopedagogo, nessuno soffriva di dislessia né di problemi di attenzione né di iperattività; semplicemente prendeva qualche scapaccione e ripeteva l’anno.
17.- Avevamo libertà, fallimenti, successi, responsabilità ...
e imparavamo a gestirli.
La grande domanda allora è questa:
Come abbiamo fatto a sopravvivere ? ed a crescere e diventare grandi ?.